Con questo termine si intende un contenuto di evoluzione culturale che viene condiviso e si propaga, spesso imitando una situazione o un concetto "madre", diventando improvvisamente celebre o virale.
Con la fine del 2016, la Playstation 4 ha raggiunto le 50 milioni di unità vendute. È un ottimo risultato, ma non si tratta di un record: i 157 milioni di PS2 vendute fra il 2000 e il 2012 rimangono ancora obbiettivi difficilmente raggiungibili, mentre appaiono decisamente più abbordabili i "soli" 87 milioni della PS3 e i 118 milioni della PS1.
Questi dati potrebbero far pensare che attualmente il mercato dei videogiochi sia in crisi, ma non è così: se le prime 2 Playstation hanno ottenuto più successo delle successive è soprattutto a causa delle sue dirette concorrenti: Sega, Microsoft e Nintendo, che in quegli anni non sono riuscite a proporre valide alternative allo strapotere di Sony. Non a caso oggi la gente si ricorda poco delle console dell'epoca quali il Nintendo 64, il Gamecube, il Master System, il Dreamcast e la prima Xbox, a differenza delle più recenti Wii e Xbox 360.
(in foto: classifica console più vendute di sempre aggiornata al 2015)
Personalmente, fra tutte queste spettacolari macchine da gioco virtuale, frutto di decenni di ricerca e sviluppo informatico a ritmi impressionanti, l'unica ad aver davvero segnato un periodo della mia vita è stata proprio la più venduta in assoluto: la Playstation 2.
I giochi che hanno decretato il suo successo strepitoso sono tantissimi. Fra le tante saghe uscite su questa console, vi propongo l'approfondimento di due particolarmente interessanti: "Ratchet & Clank" e "Silent Hill".
Essendo arrivato a 18 anni, non so se sono in grado di esprimere in modo completo cosa ha rappresentato per me e tanti altri ragazzi in tutto il mondo la Saga di Ratchet & Clank. Avreste dovuto chiedermelo 10 anni fa, quando l'appuntamento con i videogiochi rappresentava per me un sacro appuntamento quotidiano e veneravo la scatola color fumo che vedete qui sopra come una divinità dai poteri soprannaturali.
La serie creata e sviluppata da Insomniac games rappresentava l'avanguardia del genere videoludico universalmente chiamato "platform", esattamente come, in tempi diversi, lo furono Super Mario Bros, Sonic the Hedgehog, Crash Bandicoot e Rayman 2.
Generalmente le caratteristiche dei platform sono queste:
- un' aspetto grafico semplice e ricco di colore
- una colonna sonora allegra e di stile cartoonesco
- una storia di facile comprensione e avvincente
- un' incipit di gioco che consiste genericamente nel saltare su piattaforme, esplorare mondi fantastici e eliminare goffi mostri.
Detto in poche parole: tutto ciò che ogni bambino può desiderare, e che prima dell'arrivo dei videogames, poteva solo sognare.
Ora, immaginate di essere quel bambino, e che - avvicinandosi alla fine delle elementari - comincia a volere qualcosa di più allettante e meno infantile rispetto ai classici platform. Come vi sentireste se vi capitasse tra le mani un gioco come questo?
(Trailer della riedizione in HD per PS3, realizzato in occasione del decimo anniversario del primo capitolo)
Quella di Ratchet & Clank è una serie che rispetta tutte le regole del buon gioco per ragazzi, ma rispetto agli altri della sua stessa categoria ci aggiunge un'ambientazione fantascientifica che non ha niente da invidiare a quella di Star Wars, una trama lievemente più complessa, con tanti personaggi carismatici, e un arsenale di armi tanto impressionante da far impallidire Schwarzeneggher. Si tratta di armi a metà fra il realistico e il cartoonesco (per evitare di impressionare i più piccoli e annoiare i più grandi), ognuna con particolari caratteristiche e funzionalità. Non potendo a esprimervi a parole l'ebbrezza che al tempo avevo nell'utilizzarle, spero che il video sia riuscito a farvelo comprendere almeno in parte .
L'incredibile Hardware della PS2 e la vena artistica dei dipendenti di casa Insomniac resero i due protagonisti del gioco i portabandiera dell'ultimo grande periodo d'oro dei platform, che terminò intorno al 2006 con l'arrivo della settima generazione.
Il rapporto che ho con Silent Hill invece, è completamente diverso. Il secondo, il terzo ed il quarto capitolo di questa saga uscirono durante il periodo di egemonia della PS2, ma io li scoprii solo nel 2015, 10 anni dopo.
Dimenticate pianeti inesplorati e mappe colorate: Silent Hill è una ghost city - abbandonata per non precisati motivi - situata nella Virginia Occidentale (USA).
Dimenticatevi anche degli eroi con l'obiettivo di salvare il mondo: i protagonisti di questa saga sono persone umane. Ma davvero umane. Non umane come Solid Snake, Travor Mc Philips o Ezio Auditore: sono persone "vere", che hanno una naturale paura della morte, dal passato spesso travagliato e che a malapena riescono ad impugnare un fucile senza spararsi sui piedi.
Il team Silent di Konami riuscì a creare un ambiente di gioco perfettamente in bilico fra il paranormale e la nostra dimensione, alternando violenza nuda e cruda a limbi di pace e serenità, luoghi di vita comune come metrò, ospedali e alberghi ad ambienti infernali e/o decadenti.
Allo stesso modo, la colonna sonora è a tratti dolce e malinconica, a tratti martellante e macabra .
Anche se non si è amanti dell'horror, è difficile evitare di rimanere affascinati da questa saga. Per molti è l'unica in grado di reggere il confronto con la capostipite di questo genere: Resident Evil.
Finora, il mio obiettivo è stato quello di raccontarvi la mia esperienza da videogiocatore, per farvi comprendere cosa significava videogiocare fino a qualche tempo fa.
Vi ho parlato di due giochi apparentemente molto diversi, ma che in realtà hanno tanti punti in comune. Punti che hanno in comune anche con Super Mario, Sonic, Metroid, Pokemon e tantissimi altri capolavori nati a partire dagli anni '80, molti dei quali arrivati fino alle console di oggi.
Poco importa se il protagonista è un idraulico italiano mangia-funghi, un riccio blu dalla velocità supersonica o un ragazzino di 10 anni che gira non accompagnato per un'isola catturando mostri in palle bianche e rosse: questi punti in comune sono il desiderio di evadere dalla realtà e di esplorare ambienti più interessanti del palloso mondo che c'è oltre la soglia di casa; di combattere esseri malvagi (e possibilmente sconfiggerli) per far trionfare il bene sul male; di diventare i protagonisti di una storia speciale, che spesso non ha niente da invidiare a quella di un film; di ricercare il più puro spirito di avventura.
Tutto questo, purtroppo, nei giochi non si vede più. O meglio, sta scomparendo a vista d'occhio.
Lo ammetto, mi sento un po' come gli ottantenni nostalgici che passano il pomeriggio seduti sulla panchina del parco a ricordare i tempi di quando erano giovani, ma non posso mentire a me stesso: per me i giochi di 10 anni fa erano almeno due o tre spanne sopra quelli di oggi. Esattamente come gli ottantenni nostalgici, potrei stare qui per ore a fare il predicozzo, ma cercherò di essere quanto più breve e conciso possibile.
Premessa: i cambiamenti di cui vi sto per parlare riguardano solamente i cosiddetti tripla A, che nel gergo indica tutti quei giochi prodotti ad alto budget e diffusi in tutto il mondo, finanziati da grandi publisher come Sony, Microsoft, Ubisoft, Bethesda e Activision. Quindi, da questo sono escluse le opere indipendenti di piccole case e programmatori in proprio comunemente chiamate "indie".
(Machinarium: uno dei tanti capolavori indie usciti negli ultimi anni)
Purtroppo, non si tratta di un semplice calo della qualità media dei giochi, ma è proprio cambiato il modo di vedere il gioco virtuale e cosa ci si aspetta da esso. Sia dal punto di vista di chi i giochi li crea chi i giochi li fa.
Riguardo i programmatori...
... senza scendere troppo nel superficiale, si può dire che, a partire dalla terza generazione fino ad arrivare alla sesta, ogni nuova ondata di console è sempre stata accompagnata da una serie di giochi di alto livello, sia dal punto di vista artistico che da quello tecnico, in grado di segnare un netto miglioramento rispetto alla generazione precedente. Grazie ad essi, veniva giustificato il passaggio da una generazione all'altra.
(Foto della pistola ottica del Nes)
A mio parere, questo non è successo con il passaggio dalla sesta generazione alla settima e dalla settima all'ottava. Per intenderci meglio, il passaggio dalla Ps2 alla Ps3 e dalla Ps3 alla Ps4.
Non intendo certo far ricadere la colpa su chi ha progettato le console: hanno solo fatto il loro lavoro, ossia realizzare macchine da gioco all'avanguardia e dotate di tutti i migliori optional.
La questione è abbastanza semplice da capire:
Fino a poco tempo fa, per i programmatori, l'arrivo di una console più potente rappresentava un'opportunità di migliorare il proprio gioco, inserendo più animazioni, curando maggiormente le texture, inserire altri elementi e - soprattutto - modificare il sistema di gioco, portando in alcuni casi anche a creare nuovi generi.
Alcuni esempi palesi possono essere:
- Super Mario Bros: il primo platform realizzato con visuale a scorrimento, grazie alla potenza del Nes .
- Sonic the Hedgeog: un platform ideato appositamente per sfruttare la grande fluidità di gioco che offriva il Sega Megadrive.
- Super Mario 64: il primo platform in 3d, realizzato grazie all'hardware del Nintendo 64.
A partire dall'era del duopolio Ps3 - Xbox 360, i programmatori non hanno più saputo trovare modi efficaci di rinnovare le proprie opere.
Perchè? Semplicemente perchè la Ps2, il Gamecube e la prima Xbox erano già perfettamente in grado di soddisfare (quasi) ogni loro richiesta. Ogni mondo tridimensionale (o quasi) che potevano immaginare era realizzabile.
(Shadow Of The Colossus: uno dei giochi più graficamente curati usciti su Ps2)
Gli unici limiti rimasti erano la cura dell'aspetto grafico, la durata e la grandezza delle mappe di gioco.
Questa è stata la rovina per le console perché, a partire da allora, le software house hanno cominciato a gareggiare per realizzare non il gioco più innovativo/creativo, ma il gioco con la grafica più bella, la durata maggiore e/o con la mappa più grande, facendo schizzare alle stelle i costi di produzione.
(seriamente... non è possibile divertirsi senza avere una mappa di gioco che richieda un'era geologica per attraversarla tutta?)
Questo circolo vizioso ha penalizzato inizialmente solo i piccoli programmatori, autori in passato a volte di aborti inguardabili (chi segue la serie Giochi Brutti di Fraws ne sa qualcosa), a volte di perle che gli hanno permesso di entrare nella leggenda e fare carriera.
In seguito, ne hanno in parte risentito anche studi più grandi, i quali, non potendo contare come Ubisoft e Ea di eserciti di programmatori, hanno allungato i tempi di produzione di un gioco circa a due/tre anni, mentre fino a 15 anni fa riuscivano anche nella metà del tempo.
Per lo stesso motivo, oggigiorno è normale sentire di giochi la cui uscita è ritardata, oppure fatti uscire in fretta e furia per risparmiare le scandenze (a riguardo, vi invito a leggere questo articolo).
A completare il disastro, vi è una sempre maggior diffusione del gioco online, povero di tanti dei fattori artistici che caratterizzano i giochi in modalità singolo.
Oggi il mercato è videoludico per i programmatori di oggi è cosi. Se vuoi fare concorrenza alle grandi aziende come Ubisoft, Activision ed Electronic Arts hai due opzioni: la prima è farti venire l'idea per un nuovo gioco molto originale e innovativo, come quella che è venuta a Markus Persson (autore di Minecraft); la seconda è indebitare te e i tuoi compagni di studio fino al collo per un prodotto graficamente comparabile ai migliori del genere, incrociando le dita e sperando di ottenere un minimo di visibilità.
(gif satirica rivola contro la famosa publisher di giochi "Electronic Arts" e il sito di critica videoludica "IGN")
Dal punto di vista del giocatore...
... perché è cambiato il gioco? Non è facile dirlo con sicurezza, esattamente come è difficile dire perché oggi in cima alle classifiche mondiali di album venduti ci arrivano i One Republic anziché, ad esempio, gli Arcade Fire: è colpa degli ascoltatori o delle etichette discografiche? Fa più schifo la Universal che ha il coraggio di produrre Fast & Furious 8 o chi lo va a vedere? Su questo si hanno in genere pareri molto discordanti...
Ciò che è certo è che l'età del videogiocatore medio è andata progressivamente aumentando a partire dall'uscita del Nes -una console appositamente concepita per tutta la famiglia, ma in particolare per i bambini - alla nascita dei primi FPS (first person shooter).
Non fraintendetemi: non intendo certo accusare i fratelli Romero o la Rockstar Games di aver creato giochi che istigano alla violenza e/o dannosi per la società, anzi... ma sono stati proprio capolavori come Doom e Gta, che hanno avuto il merito di trasformare il videogioco nel nuovo rock 'n roll, a sancire l'inizio della fine per il videogame.
Nel giro di qualche anno il mercato videoludico è diventato saturo di contenuti espliciti, violenza e volgarità inutile e ingiustificata. Ingiustificata non perchè immorale, ma perchè priva di significato e unicamente finalizzata al guadagno.
Non a caso proprio il genere horror è diventato banale appena pochi anni dopo la sua nascita, diventando velocemente un'ammasso di clichè e stereotipi da cinema.
Videogiocare nell'ottava generazione di console è così: ci si accontenta di giochi identici a quelli di 10 anni fa. Indubbiamente più realistici e curati, ma tristemente monotoni.
Il tema
dell'identità di genere, il cosiddetto gender, è una tematica tanto importante
quanto controversa, uno dei tanti concetti che vengono spesso semplificati e di
cui si fa fatica a parlare, quasi fosse una specie di tabù.
Molte persone lo associano
automaticamente all'ambito dei "trans" o a quello del cambio di
sesso: pur includendo queste due tematiche, la parola gender racchiude molte
altre sfaccettature che spesso vengono tralasciate.
Cosa rende differente un uomo da un cane?
Cosa lo rende superiore ad un animale?
Cosa ha reso possibile il suo millenario percorso evolutivo?
L'intelligenza, verrebbe da pensare.
In parte è grazie ad essa se l'uomo è riuscito a compiere imprese straordinarie, ma l'intelligenza ha un difetto: dipende da un altro fattore.
Credo che tutti siano a conoscenza del caso di dj Fabo
(Fabiano Antoniani), il quarantenne che dopo un gravissimo incidente
automobilistico che gli ha causato cecità e tetraplegia permanente, il 27
febbraio alle ore 11:40 è morto in Svizzera con suicidio assistito,
accompagnato da Marco Cappato dell'associazione Luca Coscioni. Questo
fatto ha creato molto scalpore in Italia, dividendo il Paese in chi ha visto
questo gesto come un “atto d'amore” e chi come un crimine.
Prima di giudicare è però necessario chiarire alcuni
concetti.
Tutti sono a conoscenza del terribile
avvenimento che ha recentemente
colpito il paese di Farindola, delle dinamiche, del numero dei morti e
dei
dispersi. Se dopo questa frase state pensando che parlerò di questo,
rimarrete delusi: non intendo trattare questo specifico argomento, non
perché non
lo ritenga importante, ma semplicemente perché non potrei comunicare
nulla che
non sia già stato detto o scritto. L’incidente mi serve solamente per
introdurre ciò di cui voglio in realtà parlare.
Se dovessi descriverlo utilizzando una parola, direi che è
stato un anno di cambiamenti, alcuni profondi ed inaspettati, altri più
leggeri, ma molto importanti. Alcuni sono stati cambiamenti in meglio, altri in
peggio.
Molte volte, non ci rendiamo nemmeno conto che il mondo in
cui viviamo sta cambiando, forse perché lo fa troppo in fretta, forse perché certe
cose proprio non ce le aspettavamo, ma è proprio questo il bello dei cambiamenti
: non se ne possono vedere immediatamente gli effetti, ma è necessario
aspettare del tempo, per vedere i risultati.
Ecco come nasce l’idea per questo articolo: ho voluto
raccogliere i 10 fatti che secondo me apporteranno più cambiamenti al nostro
futuro.
La vita umana è fatta di costanti.
Proprio così, di costanti.
Di qualcosa che si ripete, nonostante il passare del tempo, sempre uguale. Qualcosa che ci dona la forza di rimanere aggrappati alla vita, di continuare a resistere.
L'uomo ha bisogno di certezze.
Ognuno ha le proprie: un parente, un amico, un luogo speciale, anche solo una particolare abitudine che si protrae invariata lungo tutto il corso dell'esistenza.
Le nostre personali certezze ci fanno sentire protetti e sicuri: si ripone la propria fiducia in qualcosa o in qualcuno che ci sarà sempre, per noi.
O quasi sempre.
Sì, perché molte volte anche le certezze vengono meno, anche le più radicate, sulle quali avevamo sempre fatto affidamento, in un attimo non ci sono più.
Improvvisamente siamo spaesati, dubbiosi, insicuri, arrabbiati, tristi, ci sentiamo nudi di fronte all'eventualità e al caso.
In una parola, ci sentiamo indifesi.
E proprio in questi attimi ci accorgiamo di quanto fosse importante per noi quella persona, quella cosa, quell'albero, quella casa, quella città.
Ci rendiamo conto di quanto spazio occupavano nel nostro cuore quando è troppo tardi.
"And you only need the light when it's burning low
Only need the sun when it start to snow
Only know you love her when you let her go" [Passenger]
Il distacco verso qualcosa o qualcuno a cui si è molto legati non è mai privo di difficoltà o dolore.
A volte, questo improvviso vuoto che si è aperto nel nostro animo può essere incolmabile, come nel caso della perdita di una persona a noi cara, che per quanto ci sforziamo non riusciremo mai completamente a sostituire.
In altri casi si può riuscire con meno difficoltà a superare l'improvvisa mancanza con la ricostruzione di quello che Pascoli chiamava "il nido", il quale non è in questo caso da intendere strettamente con il significato di "nucleo familiare", bensì come la creazione di nuove abitudini, nuovi posti, nuove relazioni, nuove certezze.
Il distacco comporta inevitabilmente un cambiamento da parte nostra, per riuscire ad adattarci alle nuove situazioni, alle nuove sfide che la vita ci pone davanti.
L'errore più grande è arrendersi, fermarsi, lasciarsi schiacciare dal dolore, dalla nostalgia o da qualsiasi altro sentimento che ci riporti morbosamente a ciò che abbiamo perduto.
William Blake, uno dei maggiori esponenti della poetica inglese, con il sul capolavoro "Songs of Experience" fa chiaramente intendere la sua visione in merito: l'uomo non può rimanere per sempre un bambino, non potrà mai avere sempre tutto ciò che vuole nel modo in cui lo desidera perché la vita è fatta di difficoltà ed ostacoli ed egli deve imparare ad affrontarle e conviverci senza esserne sopraffatto.
Così facendo, l'individuo non può che trarne beneficio, maturando progressivamente la sua esperienza e uscendone provato, ma più sicuro.
"Siamo tutti migranti. Stiamo permanentemente abbandonando una terra per trasferirci altrove. Siamo migranti quando lasciamo i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio, una separazione, la morte di una persona cara, un viaggio, persino la natura di un libro sono delle migrazioni interiori. Ogni migrazione esteriore a poco a poco diventa anche interiore. Gli ostacoli possono trasformarsi in occasione di crescita. È un processo lungo e doloroso" [Christiana de Caldas Brito]
Anche se si è colmi di dolore per un distacco recente, non bisogna mai lasciare che siano i sentimenti a guidare le nostre azioni: ogni situazione, per quanto inizialmente possa sembrare spiacevole o angosciante, con il tempo passerà, nello stesso identico modo in cui un momento piacevole, un'esperienza inebriante a loro volta finiscono. Rimanere aggrappati ai momenti tristi, al dolore della perdita e del distacco ci farebbe soltanto perdere di vista le cose belle che invece ci sono ancora.
Nulla dura per sempre. La vita è come un continuo susseguirsi di immagini che ci scorrono davanti agli occhi: sta a noi scegliere quali ricordare e quali dimenicare, quali portare nel cuore e quali gettare per avere più posto per nuove esperienze migliori.
L’elezione
di Donald Trump è stata sicuramente un evento storico, da ricordare, un vero e
proprio fulmine a ciel sereno.
Fino al
fatidico 9 Novembre 2016 che ha consacrato il noto tycoon agli occhi del mondo,
tutti i bookmakers, i sondaggisti, gli opinionisti, tutti (ad esclusione del
suo personale account Twitter) davano la Clinton come favorita.
In questi ultimi mesi si sta discutendo molto di costituzione, di referendum, dei vari dibattiti in televisione, di chi voterà sì e di chi voterà no, di chi voterà per partito politico o opinioni personali che con la riforma c'entrano quanto Gesù Cristo o la patafisica e infine di chi la riforma non l'ha neanche letta. Ma non voglio parlarvi di questo oggi, piuttosto voglio spostare i riflettori dall'oggetto del voto al voto stesso: grazie al referendum costituzionale abbiamo avuto modo di parlare dell'Italicum, la nostra attuale legge elettorale. Noi tutti siamo familiari con il sistema democratico dei nostri stati, ci siamo nati e cresciuti, ma ci siamo mai chiesti il perché di tutti questi diversi sistemi elettorali (Porcellum, Italicum, ...)?
Il 4 Settembre 2016 verrà ricordato nel futuro, da credenti e non, come il giorno della tanto agognata (questa volta solo da alcune categorie di devoti) canonizzazione della suora missionaria, premio Nobel per la Pace nel 1979, Madre Teresa di Calcutta. Tanto si potrebbe dire e tanto è stato già detto su questa figura che possiamo dire essere ancora viva tra di noi (in termini di influenza mediatica) e ora come mai sulla bocca di tutti; una delle questioni più dibattute, su cui anche io mi schiererò, è proprio quella riguardo alla recente santificazione.
Il suddetto racconto potrebbe essere ambientato in qualsiasi
Paese d’Europa o degli USA, o più in generale in ogni paese ricco del globo,
nel ventunesimo secolo. E’ la storia di un
normalissimo ragazzo di famiglia di ceto medio, che non ha né più né meno dei
suoi coetanei, dal punto di vista mentale, economico, sociale o quant’altro.
E ancora una volta mi
tocca sorbirmi i vostri "Dovremmo fare come Putin: castrazione
chimica a questi bastardi!", "Ci vorrebbe la pena di
morte!" piuttosto che "Vi picchierei tutti uno ad uno!"
e questo mi induce inesorabilmente a pensare, mentre mi avvento sul
pulsante "rimuovi amico", per quale arcano motivo scriviate
queste frasi senza una conoscenza almeno basilare dell'argomento in
questione.
Qualche giorno fa, prima di scrivere ai soliti nazivegani il tradizionale
''ognuno dovrebbe essere libero di mangiare ciò che vuole'', mi sono
chiesto: uccidere animali per ricavarne cibo è un'azione moralmente
sostenibile?
Fin dalle elementari ci siamo sentiti dire che leggere è
importante perché ci aiuta ad imparare cose nuove, accende nuove idee, ci
consente di pensare in maniera differente guardando la realtà da un’altra
prospettiva, ci fa uscire dagli schemi e dai modelli prestabiliti della nostra
vita. Tutte cose verissime, sia chiaro, ma che se ripetute per anni, magari ad
una persona che considera la lettura importante quanto un bagnino ai mondiali di nuoto, può portare ad avere in odio ed evitare accuratamente qualsiasi
oggetto cartaceo abbia più di cento pagine e meno di 70 figure.
Diventare ricco; trovare un bel lavoro; comprare una bella casa; fare carriera; avere successo; diventare famoso; uscire con la ragazza strafiga che abita alla porta accanto; vivere di propria arte grazie al nostro talento; girare il mondo; arrivare alla fine della propria vita e poter dire di averla vissuta degnamente; oppure, come diceva David Bowie, diventare eroi anche per un solo giorno.
Quando si parla della società contemporanea, sovente si utilizzano epiteti ricorrenti: è una
società digitale, online, tecnologica, interconnessa, postmaterialistica,
globalizzata.
La maggior parte di essi fa riferimento o si collega all’invenzione
che più di tutte, da alcuni anni a questa parte, ha radicalmente ed
inesorabilmente rivoluzionato le nostre vite.
Internet.
E con internet è iniziata quella che potrebbe essere definibile
come la massima rivoluzione nel campo dell’informazione.
Non più vincolata da legami terreni, l’informazione digitale
è in grado di essere registrata, copiata, inviata e letta in un attimo, da
qualsiasi persona disponga di una connessione internet, in qualsiasi parte del
mondo.
“L’informazione
digitale è diversa. […]
Essa segna un
cambiamento da tutto ciò che conoscevamo prima, perchè possiede una
combinazione unica di proprietà fisiche che non ha nessun’altra forma di
informazione.”
Sta cambiando la nostra percezione dell’identità ultima del
singolo,riplasmando la società, modificando i nostri comportamenti verso gli
altri, facendoci dipendere sempre di più dal mondo online.
I dispositivi digitali sono prepotentemente diventati parte
integrante della nostra esistenza, indispensabili quanto i nostri occhi e le
nostre orecchie.
L’importanza di internet è aumentata esponenzialmente, ma
proprio per via di questo potere, bisogna cercare di capire non solo come l’informazione
digitale possa essere usata, ma anche quali cattivi usi se ne possono fare.
“Portiamo la
democrazia nel sapere”
“La conoscenza è intrinsecamente antidemocratica. È
elitaria. Non è soggetta al volere della maggioranza, meno che mai ai capricci
della massa. I fatti non sono meno veri quando impopolari- e spesso i fatti che la maggioranza si
rifiuta di accettare sono proprio quelli più importanti.”
Appena si pronunciano di seguito le parole “disinformazione”
ed “Internet”, per qualche strano processo di associazione neuro-uditiva non
ancora approvato dalla comunità scientifica, potrebbe comparirvi davanti agli
occhi il logo di Wikipedia. Se ciò si verifica, consultate un medico perché
soffrite di allucinazioni.
Fatto? Bene, ora che abbiamo tutti la coscienza pulita,
potete continuare la lettura.
Tutti hanno utilizzato nella loro vita, almeno una volta,
Wikipedia: secondo la maggior parte delle statistiche è il quinto sito web più
visitato al mondo.
A differenza di una normale enciclopedia cartacea, Wikipedia
non necessita di nuove edizioni ogni tot anni per aggiornare le proprie voci:
essa viene continuamente corretta e rivista da volontari di tutto il mondo.
Ogni singola parola di Wikipedia potrebbe essere cambiata in
qualsiasi momento.
Ed è proprio questo che rende questo simpatico sito un vero
e proprio paradosso dell’informazione digitale: sebbene sia praticamente
impossibile eliminare del tutto una pagina di Wikipedia , non esiste nulla che
renda una versione più autorevole dell’altra: chi è davvero esperto di un
argomento non è più importante di chi vuole alterare liberamente le
informazioni seguendo un secondo fine.
Va da sé che creare una pagina su Wikipedia contenente una
bufala diventa un atto straordinariamente semplice.
Al contrario, tutto questo non significa affatto che le
pagine della nota enciclopedia online non siano attendibili: lo sono più o meno
quanto quelle di un’enciclopedia cartacea, come ha dimostrato uno studio del
2005 che mise a confronto delle notizie provenienti da Wikipedia e quelle dell’Encyclopaedia Britannica scoprendo che
quest’ultima se la cavava solo leggermente meglio.
Nonostante la facilità di modifica dei suoi contenuti,
Wikipedia riesce comunque a presentare fatti validi ed utili grazie ad un
sistema di risoluzione alle cosiddette“guerre di modifiche”ed alla
presenza di un collegio di conciliazione (mediation
committee) e di un collegio arbitrale (arbitration
committee), che secondo il sito sono formati da contributori fidati ed
esperti.
Ecco perchè è sbagliato estremizzare le opinioni: dire che
non è giusto usare Wikipedia perchè fonte di disinformazione è errato quanto considerarla
come la massima fonte di sapere esistente.
Il peso di una bugia
Il 24 giugno 2016, indipendentemente da come andrà a finire
la vicenda, verrà molto probabilmente ricordato nei libri di storia: è il
giorno nel quale è stato reso noto l’esito del referendum consultivo che
porterà, molto probabilmente, la Gran Bretagna a separarsi dall’Unione Europea
nel 2018.
Lasciando a persone più informate di me il compito di
analizzare nel dettaglio le conseguenze che porterà questa decisione, vorrei
soffermarmi in particolar modo sul perché tendo a classificare questo evento
come conseguenza, almeno in parte, di una disinformazione di massa.
Innanzitutto, è giusto sapere che il Regno Unito ha votato
spaccato in due, demograficamente e geograficamente.
Secondo una statistica rilevata dal sito britannico YouGov, l’opzione
“remain” era nettamente più popolare
nei cittadini sotto i 40 anni, mentre le votazioni pro-brexit, hanno avuto un
grande successo nella fascia degli “over 65”.
Un dato che fa riflettere:di fatto, la “vecchia” generazione ha fatto una scelta che condizionerà
pesantemente il futuro della giovane,
perché di futuro si parla, dato che il progetto dell’uscita dall’UE stima di
portare i suoi benefici tra anni, del quale potrebbe non fare già più parte per
ovvie ragioni.
Un’altra divisione risiede nel livello di educazione dei
cittadini: in media, le persone con un livello educativo più avanzato hanno
votato per rimanere nell’Unione. La città
di Londra ha votato per rimanere, così come la Scozia e l’Irlanda del Nord; le
parti più rurali del paese per uscire.
Proprio le fasce con un livello di scolarizzazione meno
avanzato, come la classe operaia, hanno votato a favore del Brexit, principalmente
spinte dal pregiudizio che vedrebbe gli stranieri acquisire sempre maggiori
opportunità lavorative a discapito dei cittadini inglesi.
Paradossalmente, gli elettori di estrazione sociale umile
saranno proprio coloro che soffriranno maggiormente il distacco dall’Europa,
perché ciò comporta inevitabilmente un pesante rallentamento dell’economia
interna e di conseguenza una riduzione del numero di posti lavoro.
Lasciare che sia la maggioranza a decidere non è sempre una
buona idea.
Lo sarebbe se si mettesse a disposizione dei votanti una
documentazione ufficiale ed attendibile, redatta da persone competenti a
sostegno di entrambe le tesi.
La campagna politica è però, come tutti d’altronde sappiamo,
ben altra cosa.
La campagna “Leave” ha avuto successo proprio grazie
all’utilizzo di mezzi senza scrupoli, volti a convertire l’opinione comune e
poco informata che i problemi economici degli inglesi fossero da ricercare nel
contesto dell’immigrazione, facendo inoltre passare come un mucchio di stupidaggini
il punto di vista di numerosi esperti nel settore.
Uno dei raggiri più persuasivi e diabolici della campagna di
Farage è stata, senza ombra di dubbio, la questione dei 350 milioni di
sterline.
L’ormai ex leader dell’UKIP (United Kingdom Independence Party)
aveva infatti promesso ai cittadini che, se la Gran Bretagna avesse votato per
uscire dall’UE, avrebbe impiegato i famosi 350 milioni, che altro non sarebbero
se non le spese da elargire all’Unione settimanalmente, nel Servizio sanitario
nazionale.
Salvo poi rimangiarsi tutto in diretta nazionale a poche ore
dopo l’annuncio dell’esito del referendum, ovviamente.
“Non posso assicurare che quei soldi vengano effettivamente
spesi in questo modo. Fare questa promessa è stato un errore.” [Nigel Farage]
Di fatto un argomento economico che ha fatto guadagnare al
buon Nigel un sacco di voti, ma che si è rivelato totalmente infondato, anche
perché la cifra al netto è molto più bassa (erano circa 160 i milioni di sterline che la Gran
Bretagna versava settimanalmente nelle casse europee).
I “Leave” avrebbero ottenuto ugualmente una (seppur minima)
vittoria se la popolazione non fosse stata invogliata da questa allettante, ma
falsa, promessa?
Succo di barbabietola
per tutti
La lista delle vittime della disinformazione non finisce qui
e, purtroppo, non si parla più di vittime solo in senso figurato.
È questo il caso di Thabo Mbeki, ex presidente del sudafrica
che, nel corso del suo mandato dal 1999 al 2008 si è caparbiamente schierato
contro l’assunzione di farmaci contro l’HIV, come l’AZT.
Diventato un sincero credente delle tesi di Peter Duesberg, biologo
bandito dalla comunità scientifica a casa delle sue tesi false ed infondate, il
quale sostiene che l’AIDS sia causato dall’uso di droghe o farmaci, Mbeki mise
pubblicamente in dubbio che l’HIV provocasse l’AIDS e intraprese una politica
volta ad arrestare la vendita, anche le donazioni gratuite, ed il consumo di
farmaci contro la malattia, esaltando le proprietà curative di estratti di
barbabietola rossa, limone ed aglio.
Uno studio risalente al 2008 da parte del “Journal of
Acquired Immune Deficiency Syndromes” stimò
che più di trecentomila persone avessero perso la vita a causa del divieto
imposto da Mbeki di assumere farmaci contro l’AIDS.
La cosa più incredibile è che su Google continuino ad
esistere siti contenenti letteratura negazionista sull’HIV, ovviamente
accessibili a chiunque.
Questi sono solo alcuni esempi di tutte le conseguenze alle
quali può portare un’informazione errata.
È strano pensare di come, pur avendo a disposizione la più
grande fonte di sapere mai esistita in formato tascabile ed universalmente
consultabile, si riesca ugualmente a provocare, volontariamente o meno,
grandissimi casini.
Forse la causa di questa disinformazione è da ricercare nella
vastità e nell’universalità del Web, in quanto chiunque può svegliarsi al
mattino e decidere di aprire un blog dove scrive che la Seconda Guerra Mondiale
non è mai stata combattuta, che l’uomo non è mai arrivato sulla Luna oppure che
la nostra vita è condizionata da esseri umanoidi - rettiliani che si travestono
da persone comuni per non farsi riconoscere e portare il pianeta Terra alla
distruzione.
Al giorno d’oggi, chiunque può scrivere le proprie
personabilissime opinioni su Internet e troverà sempre altra gente che le
leggerà e gli darà retta.
Tuttavia, proprio perché si ha a disposizione questa enorme
cisterna d’informazioni, potenzialmente parlando, dobbiamo imparare a
documentarci correttamente, confrontando più fonti ufficiali ed attendibili e
non lasciandosi guidare dal primo sito che capita sotto il dito, dal giudizio
di amici/parenti guarda caso sempre massimi esperti in materia o dalle bufale
su Facebook, orientando le proprie opinioni in merito.
Imparare ad informarsi correttamente è un nostro dovere.
Trovo azzeccatissima la scelta dell' Oxford Dictionaries di insignire del titolo di "parola dell'anno 2016" il termine "post-truth", post-verità. Questo aggettivo è molto usato per descrivere un ambito politico che fa leva sull'aspetto emotivo delle persone, a discapito della loro reale conoscenza della politica, diffondendo fatti al limite della realtà e molte volte di vere e proprie bufale per screditare e danneggiare gli oppositori. Servendosi al tempo stesso della disinformazione della gente, che è molto più propensa a prendere per oro colato ogni sillaba proferita dal politico preferito, ma anche della facile trasmissibilità che un'informazione digitale possiede, possono facilmente orientare l'opinione pubblica come meglio credono.
Ecco perchè post-verità: una verità mascherata, celata dietro le righe di un post su un social network, ma al tempo stesso una voce della quale non si riesce più a distinguere l'appartenenza: è realtà o finzione?
“L’informazione digitale ha un R0 incredibilmente alto, e
questo significa che è difficile fermarla, dopo che è comparsa.Passa di persona in persona - persino tra
individui molto lontani tra loro - a una velocità stupefacente, grazie alla sua
alta trasmissibilità e all’alta interconnessione della società digitale.Una volta che prende il largo è quasi
impossibile bloccarne la diffusione. È meraviglioso, ma solo se l’informazione
è corretta e utile. Se invece è sbagliata, se altera in modo negativo i nostri
cervelli, se ci fa commettere degli errori e pensare cose sbagliate, allora è
un flagello.La cattiva informazione è
una malattia che colpisce tutti noi - una malattia che è diventata incredibilmente
potente grazie alla rivoluzione digitale. E non esiste un vaccino.” [Charles Seife - Le menzogne del web]