11/10/2016

C'era una volta l'olio di palma







C’era una volta l’olio di palma.
C’era.
 Perché ora non c’è più, vero?
Lo hanno tolto da tutti i cibi no?
Certo che lo hanno tolto, ho visto la pubblicità dove dicevano che non c’era più olio di palma nei biscotti.
Meno male, ora posso tornare a mangiare i biscotti con le stelline di glassa sopra che mi piacciono tanto.
Ma siamo sicuri che lo hanno tolto?
Non avranno mica solamente cambiato il nome per ingannare la povera gente?
 È meglio se vado a leggere cosa dice l’etichetta nutrizionale.
Cosa dice? Cosa dice?
Effettivamente non c’è la voce “OLIO DI PALMA”.
Però in televisione hanno detto che fa parte dei grassi saturi, quindi non deve esserci anche questa tipologia.
Ora controllo.
Non c’è.
Meno male, allora adesso posso compra…
ASPETTA.
Che cosa sono queste altre scritte?
Grassi monoinsaturi.
Grassi polinsaturi.
Glucidi solubili.
La parola glucidi mi ricorda il glucosio che studiavo a scuola.
E il glucosio è uno zucchero.
E lo zucchero fa ingrassare.
Quindi è anch’esso un Grasso.
Ma sarà un grasso saturo o un grasso normale?
Provocherà il cancro come l’olio di palma?
Holy shit.
Nel dubbio, stasera vado a mangiare al McDonald.


Quando mi capita di andare al supermercato e ho modo di osservare quegli immensi scaffali che traboccano di ogni ben di Dio, mi accorgo di quanto abbia preso piede ultimamente l’odio verso l’olio di palma: ora si possono osservare file di prodotti che presentano tutti quanti la loro brava etichetta che reca la scritta “SENZA OLIO DI PALMA”. Vedendole, mi viene quasi spontaneamente da pensare a quel passo della Bibbia dove gli Ebrei segnano con il sangue degli agnelli l’uscio delle proprie case per fare in modo che l’angelo della morte mandato dal Signore non colpisca le loro famiglie e passi oltre. Ecco, vista da un’altra prospettiva, i ruoli di questa storiella possono essere così  rivisitati: gli Ebrei sono le case produttrici di beni alimentari, le porte sono i prodotti, il sangue sulle porte è l’etichetta “SENZA OLIO DI PALMA” e l’angelo sono i consumatori. Solamente che, in questo caso, il consumatore, vedendo la famigerata targhetta comparire fiera sul proprio prodotto preferito, lo acquista gongolante.
Tutto ciò è un po’ un controsenso, in fondo: perché c’è bisogno di scrivere in bella vista e a caratteri cubitali che una cosa non contiene una sostanza che si presume faccia male alla salute? Non è già ovvio di per sè? Se io compro una bottiglia di vino, non mi aspetto che ci sia una targhetta che specifichi che nella bevanda non è sciolto dell’arsenico: è normale che non ci sia. Mica compro la roba da mangiare per uccidermi.

Tutta questa necessità di far sapere a chiunque la completa assenza dell’olio di palma è una conseguenza diretta della forte campagna minatoria nei confronti del grasso vegetale più famoso del mondo.
Senza cadere nel complottismo, si può anche provare a capire perché accade ciò.
Da tempo i media, le case produttrici di beni alimentari e anche alcuni politici, dipingono l’olio di palma come una nuova apocalisse: tra causare il cancro, essere la principale fonte grazie alla quale il diabete si sviluppa e provocare disturbi alle arterie non si sa cosa imputargli prima.
Ma è vero tutto ciò? Ni. Sì e no. In parte.

Innanzitutto bisogna capire perchè è così utilizzato.
Effettivamente, se si fa attenzione alle etichette nutrizionali, possiamo ritrovare l’olio di palma in moltissimi prodotti quali biscotti, merendine, dolci, creme, vari cibi preconfezionati, gelati, addirittura in alcuni detersivi.
Il suo largo consumo è dato dalle sue peculiari caratteristiche: pur essendo di origine vegetale infatti, rappresenta un’eccezione, poiché ha una composizione in acidi grassi più simile al burro che agli altri grassi vegetali: è infatti composto essenzialmente da grassi saturi. Di conseguenza ben si presta, per le sue proprietà chimiche, a sostituirlo nelle preparazioni industriali, alle quali garantisce cremosità e croccantezza.
In secondo luogo, è meno delicato rispetto ad altri oli i quali, deteriorandosi in fretta, formerebbero sostanze tossiche che sarebbero potenzialmente nocive. L’olio di palma possiede, invece, una forte resistenza alla temperatura e al sole, il che lo rende il migliore dal punto di vista della corretta conservazione dei cibi confezionati. È incolore e insapore, ma, soprattutto, è molto economico.


“Il suo ingresso massiccio tra i nostri cibi è avvenuto in seguito all’inasprimento delle normative dell’Organizzazione mondiale della sanità sui grassi idrogenati, come le margarine, una trasformazione degli oli vegetali inizialmente impiegata come ripiego al burro, ma reputata subito nociva su vari fronti della salute. Se ora ci ritroviamo a consumare olio di palma, quindi, è anche per evitare che nei nostri alimenti ci fosse di peggio.” [Alice Pace, giornalista scientifica]



Ma fa davvero così male come si dice? Ni.
Come tutte le cose, dipende da quanto ne consumiamo: è ovvio che se assunto troppo frequentemente può provocare disturbi cardiovascolari, aumentare il livello di colesterolo nel sangue e portare alla contrazione del diabete di tipo II (però il cancro non lo provoca, tranquilli: quella è una bufala), ma dopotutto anche altri prodotti culinari utilizzati quotidianamente in maniera incontrollata possono portare alle stesse malattie (zucchero, sale).

Pertanto, la giusta soluzione sta nel mezzo: l’olio di palma non va estremizzato come il male assoluto (anche perché si sono usati per molto tempo altri prodotti molto più pericolosi per la salute), ma bisognerebbe introdurre delle norme atte a limitarne l’uso (non a eliminarlo completamente, altrimenti provateci voi a mangiare una crostata secca e che appena la guardi si sbriciola) da parte delle aziende, poichè un suo consumo eccessivo risulta nocivo.

Infine, prima di essere tanto rigidi e determinati quando si parla di olio di palma (quasi che sia stata indetta contro di esso una nona crociata), cominciamo a non dare ai figli per merenda il quotidiano pacchetto di patatine e l’immancabile mezzo litro di bibita gasata. Quello sì che fa male.


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