C’era una volta l’olio
di palma.
C’era.
Perché ora non c’è più, vero?
Lo hanno tolto da
tutti i cibi no?
Certo che lo hanno
tolto, ho visto la pubblicità dove dicevano che non c’era più olio di palma nei
biscotti.
Meno male, ora posso
tornare a mangiare i biscotti con le stelline di glassa sopra che mi piacciono
tanto.
Non avranno mica
solamente cambiato il nome per ingannare la povera gente?
È meglio se vado a leggere cosa dice l’etichetta
nutrizionale.
Cosa dice? Cosa
dice?
Effettivamente non
c’è la voce “OLIO DI PALMA”.
Però in televisione
hanno detto che fa parte dei grassi saturi, quindi non deve esserci anche
questa tipologia.
Ora controllo.
Non c’è.
Meno male, allora
adesso posso compra…
ASPETTA.
Che cosa sono
queste altre scritte?
Grassi monoinsaturi.
Grassi polinsaturi.
Glucidi solubili.
La parola glucidi
mi ricorda il glucosio che studiavo a scuola.
E il glucosio è uno
zucchero.
E lo zucchero fa
ingrassare.
Quindi è anch’esso
un Grasso.
Ma sarà un grasso
saturo o un grasso normale?
Provocherà il
cancro come l’olio di palma?
Holy shit.
Nel dubbio, stasera
vado a mangiare al McDonald.
Quando mi capita di andare al supermercato e
ho modo di osservare quegli immensi scaffali che traboccano di ogni ben di Dio,
mi accorgo di quanto abbia preso piede ultimamente l’odio verso l’olio di
palma: ora si possono osservare file di prodotti che presentano tutti quanti la
loro brava etichetta che reca la scritta “SENZA OLIO DI PALMA”. Vedendole, mi
viene quasi spontaneamente da pensare a quel passo della Bibbia dove gli Ebrei segnano
con il sangue degli agnelli l’uscio delle proprie case per fare in modo che l’angelo
della morte mandato dal Signore non colpisca le loro famiglie e passi oltre. Ecco,
vista da un’altra prospettiva, i ruoli di questa storiella possono essere così rivisitati: gli Ebrei sono le case produttrici
di beni alimentari, le porte sono i prodotti, il sangue sulle porte è l’etichetta
“SENZA OLIO DI PALMA” e l’angelo sono i consumatori. Solamente che, in questo
caso, il consumatore, vedendo la famigerata targhetta comparire fiera sul
proprio prodotto preferito, lo acquista gongolante.
Tutto ciò è un po’ un controsenso, in fondo: perché
c’è bisogno di scrivere in bella vista e a caratteri cubitali che una cosa non
contiene una sostanza che si presume faccia male alla salute? Non è già ovvio
di per sè? Se io compro una bottiglia di vino, non mi aspetto che ci sia una
targhetta che specifichi che nella bevanda non è sciolto dell’arsenico: è normale
che non ci sia. Mica compro la roba da mangiare per uccidermi.
Tutta questa necessità di far sapere a chiunque
la completa assenza dell’olio di palma è una conseguenza diretta della forte
campagna minatoria nei confronti del grasso vegetale più famoso del mondo.
Senza cadere nel complottismo, si può anche
provare a capire perché accade ciò.
Da tempo i media, le case produttrici di beni
alimentari e anche alcuni politici, dipingono l’olio di palma come una nuova
apocalisse: tra causare il cancro, essere la principale fonte grazie alla quale
il diabete si sviluppa e provocare disturbi alle arterie non si sa cosa
imputargli prima.
Ma è vero tutto ciò? Ni. Sì e no. In parte.
Innanzitutto bisogna capire perchè è così
utilizzato.
Effettivamente, se si fa attenzione alle
etichette nutrizionali, possiamo ritrovare l’olio di palma in moltissimi
prodotti quali biscotti, merendine, dolci, creme, vari cibi preconfezionati,
gelati, addirittura in alcuni detersivi.
Il suo largo consumo è dato dalle sue
peculiari caratteristiche: pur essendo di origine vegetale infatti,
rappresenta un’eccezione, poiché ha una composizione in acidi grassi più
simile al burro
che agli altri grassi vegetali: è infatti composto essenzialmente da grassi saturi.
Di conseguenza ben si presta, per le sue proprietà chimiche, a sostituirlo nelle
preparazioni
industriali, alle quali garantisce cremosità e croccantezza.
In secondo luogo, è
meno delicato rispetto ad altri oli i quali, deteriorandosi in fretta,
formerebbero sostanze tossiche che sarebbero potenzialmente nocive. L’olio di
palma possiede, invece, una forte resistenza alla temperatura e al sole, il che
lo rende il migliore dal punto di vista della corretta conservazione dei cibi
confezionati. È incolore e insapore, ma, soprattutto, è molto economico.
“Il suo ingresso massiccio tra i nostri cibi è avvenuto in seguito all’inasprimento delle normative dell’Organizzazione mondiale della sanità sui grassi idrogenati, come le margarine, una trasformazione degli oli vegetali inizialmente impiegata come ripiego al burro, ma reputata subito nociva su vari fronti della salute. Se ora ci ritroviamo a consumare olio di palma, quindi, è anche per evitare che nei nostri alimenti ci fosse di peggio.” [Alice Pace, giornalista scientifica]
Ma fa davvero così male come si dice? Ni.
Come tutte le cose, dipende da quanto ne
consumiamo: è ovvio che se assunto troppo frequentemente può provocare disturbi
cardiovascolari, aumentare il livello di colesterolo nel sangue e portare alla
contrazione del diabete di tipo II (però il cancro non lo provoca, tranquilli:
quella è una bufala), ma dopotutto anche altri prodotti culinari utilizzati
quotidianamente in maniera incontrollata possono portare alle stesse malattie
(zucchero, sale).
Pertanto, la giusta soluzione sta nel mezzo:
l’olio di palma non va estremizzato come il male assoluto (anche perché si sono
usati per molto tempo altri prodotti molto più pericolosi per la salute), ma
bisognerebbe introdurre delle norme atte a limitarne l’uso (non a eliminarlo
completamente, altrimenti provateci voi a mangiare una crostata secca e che
appena la guardi si sbriciola) da parte delle aziende, poichè un suo consumo
eccessivo risulta nocivo.
Infine, prima di essere tanto rigidi e determinati
quando si parla di olio di palma (quasi che sia stata indetta contro di esso
una nona crociata), cominciamo a non dare ai figli per merenda il quotidiano
pacchetto di patatine e l’immancabile mezzo litro di bibita gasata. Quello sì
che fa male.
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