Quando si parla della società contemporanea, sovente si utilizzano epiteti ricorrenti: è una
società digitale, online, tecnologica, interconnessa, postmaterialistica,
globalizzata.
La maggior parte di essi fa riferimento o si collega all’invenzione
che più di tutte, da alcuni anni a questa parte, ha radicalmente ed
inesorabilmente rivoluzionato le nostre vite.
Internet.
E con internet è iniziata quella che potrebbe essere definibile
come la massima rivoluzione nel campo dell’informazione.
Non più vincolata da legami terreni, l’informazione digitale
è in grado di essere registrata, copiata, inviata e letta in un attimo, da
qualsiasi persona disponga di una connessione internet, in qualsiasi parte del
mondo.
“L’informazione digitale è diversa. […]
Essa segna un cambiamento da tutto ciò che conoscevamo prima, perchè possiede una combinazione unica di proprietà fisiche che non ha nessun’altra forma di informazione.”
Sta cambiando la nostra percezione dell’identità ultima del
singolo,riplasmando la società, modificando i nostri comportamenti verso gli
altri, facendoci dipendere sempre di più dal mondo online.
I dispositivi digitali sono prepotentemente diventati parte
integrante della nostra esistenza, indispensabili quanto i nostri occhi e le
nostre orecchie.
L’importanza di internet è aumentata esponenzialmente, ma
proprio per via di questo potere, bisogna cercare di capire non solo come l’informazione
digitale possa essere usata, ma anche quali cattivi usi se ne possono fare.
“Portiamo la
democrazia nel sapere”
“La conoscenza è intrinsecamente antidemocratica. È elitaria. Non è soggetta al volere della maggioranza, meno che mai ai capricci della massa. I fatti non sono meno veri quando impopolari - e spesso i fatti che la maggioranza si rifiuta di accettare sono proprio quelli più importanti.”
Appena si pronunciano di seguito le parole “disinformazione”
ed “Internet”, per qualche strano processo di associazione neuro-uditiva non
ancora approvato dalla comunità scientifica, potrebbe comparirvi davanti agli
occhi il logo di Wikipedia. Se ciò si verifica, consultate un medico perché
soffrite di allucinazioni.
Fatto? Bene, ora che abbiamo tutti la coscienza pulita,
potete continuare la lettura.
Tutti hanno utilizzato nella loro vita, almeno una volta,
Wikipedia: secondo la maggior parte delle statistiche è il quinto sito web più
visitato al mondo.
A differenza di una normale enciclopedia cartacea, Wikipedia
non necessita di nuove edizioni ogni tot anni per aggiornare le proprie voci:
essa viene continuamente corretta e rivista da volontari di tutto il mondo.
Ogni singola parola di Wikipedia potrebbe essere cambiata in
qualsiasi momento.
Ed è proprio questo che rende questo simpatico sito un vero
e proprio paradosso dell’informazione digitale: sebbene sia praticamente
impossibile eliminare del tutto una pagina di Wikipedia , non esiste nulla che
renda una versione più autorevole dell’altra: chi è davvero esperto di un
argomento non è più importante di chi vuole alterare liberamente le
informazioni seguendo un secondo fine.
Va da sé che creare una pagina su Wikipedia contenente una
bufala diventa un atto straordinariamente semplice.
Al contrario, tutto questo non significa affatto che le
pagine della nota enciclopedia online non siano attendibili: lo sono più o meno
quanto quelle di un’enciclopedia cartacea, come ha dimostrato uno studio del
2005 che mise a confronto delle notizie provenienti da Wikipedia e quelle dell’Encyclopaedia Britannica scoprendo che
quest’ultima se la cavava solo leggermente meglio.
Nonostante la facilità di modifica dei suoi contenuti,
Wikipedia riesce comunque a presentare fatti validi ed utili grazie ad un
sistema di risoluzione alle cosiddette
“guerre di modifiche” ed alla
presenza di un collegio di conciliazione (mediation
committee) e di un collegio arbitrale (arbitration
committee), che secondo il sito sono formati da contributori fidati ed
esperti.
Ecco perchè è sbagliato estremizzare le opinioni: dire che
non è giusto usare Wikipedia perchè fonte di disinformazione è errato quanto considerarla
come la massima fonte di sapere esistente.
Il peso di una bugia
Il 24 giugno 2016, indipendentemente da come andrà a finire
la vicenda, verrà molto probabilmente ricordato nei libri di storia: è il
giorno nel quale è stato reso noto l’esito del referendum consultivo che
porterà, molto probabilmente, la Gran Bretagna a separarsi dall’Unione Europea
nel 2018.
Lasciando a persone più informate di me il compito di
analizzare nel dettaglio le conseguenze che porterà questa decisione, vorrei
soffermarmi in particolar modo sul perché tendo a classificare questo evento
come conseguenza, almeno in parte, di una disinformazione di massa.
Innanzitutto, è giusto sapere che il Regno Unito ha votato
spaccato in due, demograficamente e geograficamente.
Secondo una statistica rilevata dal sito britannico YouGov, l’opzione
“remain” era nettamente più popolare
nei cittadini sotto i 40 anni, mentre le votazioni pro-brexit, hanno avuto un
grande successo nella fascia degli “over 65”.
Un dato che fa riflettere:
di fatto, la “vecchia” generazione ha fatto una scelta che condizionerà
pesantemente il futuro della giovane,
perché di futuro si parla, dato che il progetto dell’uscita dall’UE stima di
portare i suoi benefici tra anni, del quale potrebbe non fare già più parte per
ovvie ragioni.
Un’altra divisione risiede nel livello di educazione dei
cittadini: in media, le persone con un livello educativo più avanzato hanno
votato per rimanere nell’Unione. La città
di Londra ha votato per rimanere, così come la Scozia e l’Irlanda del Nord; le
parti più rurali del paese per uscire.
Proprio le fasce con un livello di scolarizzazione meno
avanzato, come la classe operaia, hanno votato a favore del Brexit, principalmente
spinte dal pregiudizio che vedrebbe gli stranieri acquisire sempre maggiori
opportunità lavorative a discapito dei cittadini inglesi.
Paradossalmente, gli elettori di estrazione sociale umile
saranno proprio coloro che soffriranno maggiormente il distacco dall’Europa,
perché ciò comporta inevitabilmente un pesante rallentamento dell’economia
interna e di conseguenza una riduzione del numero di posti lavoro.
Lasciare che sia la maggioranza a decidere non è sempre una
buona idea.
Lo sarebbe se si mettesse a disposizione dei votanti una
documentazione ufficiale ed attendibile, redatta da persone competenti a
sostegno di entrambe le tesi.
La campagna politica è però, come tutti d’altronde sappiamo,
ben altra cosa.
La campagna “Leave” ha avuto successo proprio grazie
all’utilizzo di mezzi senza scrupoli, volti a convertire l’opinione comune e
poco informata che i problemi economici degli inglesi fossero da ricercare nel
contesto dell’immigrazione, facendo inoltre passare come un mucchio di stupidaggini
il punto di vista di numerosi esperti nel settore.
Uno dei raggiri più persuasivi e diabolici della campagna di
Farage è stata, senza ombra di dubbio, la questione dei 350 milioni di
sterline.
L’ormai ex leader dell’UKIP (United Kingdom Independence Party)
aveva infatti promesso ai cittadini che, se la Gran Bretagna avesse votato per
uscire dall’UE, avrebbe impiegato i famosi 350 milioni, che altro non sarebbero
se non le spese da elargire all’Unione settimanalmente, nel Servizio sanitario
nazionale.
Salvo poi rimangiarsi tutto in diretta nazionale a poche ore
dopo l’annuncio dell’esito del referendum, ovviamente.
“Non posso assicurare che quei soldi vengano effettivamente
spesi in questo modo. Fare questa promessa è stato un errore.” [Nigel Farage]
Di fatto un argomento economico che ha fatto guadagnare al
buon Nigel un sacco di voti, ma che si è rivelato totalmente infondato, anche
perché la cifra al netto è molto più bassa (erano circa 160 i milioni di sterline che la Gran
Bretagna versava settimanalmente nelle casse europee).
I “Leave” avrebbero ottenuto ugualmente una (seppur minima)
vittoria se la popolazione non fosse stata invogliata da questa allettante, ma
falsa, promessa?
Succo di barbabietola
per tutti
La lista delle vittime della disinformazione non finisce qui
e, purtroppo, non si parla più di vittime solo in senso figurato.
È questo il caso di Thabo Mbeki, ex presidente del sudafrica
che, nel corso del suo mandato dal 1999 al 2008 si è caparbiamente schierato
contro l’assunzione di farmaci contro l’HIV, come l’AZT.
Diventato un sincero credente delle tesi di Peter Duesberg, biologo
bandito dalla comunità scientifica a casa delle sue tesi false ed infondate, il
quale sostiene che l’AIDS sia causato dall’uso di droghe o farmaci, Mbeki mise
pubblicamente in dubbio che l’HIV provocasse l’AIDS e intraprese una politica
volta ad arrestare la vendita, anche le donazioni gratuite, ed il consumo di
farmaci contro la malattia, esaltando le proprietà curative di estratti di
barbabietola rossa, limone ed aglio.
Uno studio risalente al 2008 da parte del “Journal of
Acquired Immune Deficiency Syndromes” stimò
che più di trecentomila persone avessero perso la vita a causa del divieto
imposto da Mbeki di assumere farmaci contro l’AIDS.
La cosa più incredibile è che su Google continuino ad
esistere siti contenenti letteratura negazionista sull’HIV, ovviamente
accessibili a chiunque.
Questi sono solo alcuni esempi di tutte le conseguenze alle
quali può portare un’informazione errata.
È strano pensare di come, pur avendo a disposizione la più
grande fonte di sapere mai esistita in formato tascabile ed universalmente
consultabile, si riesca ugualmente a provocare, volontariamente o meno,
grandissimi casini.
Forse la causa di questa disinformazione è da ricercare nella
vastità e nell’universalità del Web, in quanto chiunque può svegliarsi al
mattino e decidere di aprire un blog dove scrive che la Seconda Guerra Mondiale
non è mai stata combattuta, che l’uomo non è mai arrivato sulla Luna oppure che
la nostra vita è condizionata da esseri umanoidi - rettiliani che si travestono
da persone comuni per non farsi riconoscere e portare il pianeta Terra alla
distruzione.
Al giorno d’oggi, chiunque può scrivere le proprie
personabilissime opinioni su Internet e troverà sempre altra gente che le
leggerà e gli darà retta.
Tuttavia, proprio perché si ha a disposizione questa enorme
cisterna d’informazioni, potenzialmente parlando, dobbiamo imparare a
documentarci correttamente, confrontando più fonti ufficiali ed attendibili e
non lasciandosi guidare dal primo sito che capita sotto il dito, dal giudizio
di amici/parenti guarda caso sempre massimi esperti in materia o dalle bufale
su Facebook, orientando le proprie opinioni in merito.
Imparare ad informarsi correttamente è un nostro dovere.
Trovo azzeccatissima la scelta dell' Oxford Dictionaries di insignire del titolo di "parola dell'anno 2016" il termine "post-truth", post-verità. Questo aggettivo è molto usato per descrivere un ambito politico che fa leva sull'aspetto emotivo delle persone, a discapito della loro reale conoscenza della politica, diffondendo fatti al limite della realtà e molte volte di vere e proprie bufale per screditare e danneggiare gli oppositori. Servendosi al tempo stesso della disinformazione della gente, che è molto più propensa a prendere per oro colato ogni sillaba proferita dal politico preferito, ma anche della facile trasmissibilità che un'informazione digitale possiede, possono facilmente orientare l'opinione pubblica come meglio credono.
Ecco perchè post-verità: una verità mascherata, celata dietro le righe di un post su un social network, ma al tempo stesso una voce della quale non si riesce più a distinguere l'appartenenza: è realtà o finzione?
Trovo azzeccatissima la scelta dell' Oxford Dictionaries di insignire del titolo di "parola dell'anno 2016" il termine "post-truth", post-verità. Questo aggettivo è molto usato per descrivere un ambito politico che fa leva sull'aspetto emotivo delle persone, a discapito della loro reale conoscenza della politica, diffondendo fatti al limite della realtà e molte volte di vere e proprie bufale per screditare e danneggiare gli oppositori. Servendosi al tempo stesso della disinformazione della gente, che è molto più propensa a prendere per oro colato ogni sillaba proferita dal politico preferito, ma anche della facile trasmissibilità che un'informazione digitale possiede, possono facilmente orientare l'opinione pubblica come meglio credono.
Ecco perchè post-verità: una verità mascherata, celata dietro le righe di un post su un social network, ma al tempo stesso una voce della quale non si riesce più a distinguere l'appartenenza: è realtà o finzione?
“L’informazione digitale ha un R0 incredibilmente alto, e questo significa che è difficile fermarla, dopo che è comparsa. Passa di persona in persona - persino tra individui molto lontani tra loro - a una velocità stupefacente, grazie alla sua alta trasmissibilità e all’alta interconnessione della società digitale. Una volta che prende il largo è quasi impossibile bloccarne la diffusione. È meraviglioso, ma solo se l’informazione è corretta e utile. Se invece è sbagliata, se altera in modo negativo i nostri cervelli, se ci fa commettere degli errori e pensare cose sbagliate, allora è un flagello. La cattiva informazione è una malattia che colpisce tutti noi - una malattia che è diventata incredibilmente potente grazie alla rivoluzione digitale. E non esiste un vaccino.” [Charles Seife - Le menzogne del web]
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