Un'immagine vale più di mille parole.
Nel mio caso, questa massima eterna calza a pennello.
Guardate questo semplice disegno.
Guardatelo bene.
Osservatelo con attenzione, cercando di coglierne i particolari, ma soprattutto il messaggio che vuole comunicarci.
Fatto? Bene, se siete arrivati fino a questo punto significa che siete veramente interessati alla lettura di questo articolo e pertanto possiamo cominciare.
Come avrete capito, l’argomento di questo post è l’omologazione, l’uniformazione, la massificazione nella società odierna.
Innanzitutto è bene distinguerne due tipologie: omologazione culturale ed omologazione sociale.
La prima va a toccare aspetti come le tradizioni e le usanze di un popolo (dialetti, cibi, folklore...), mentre la seconda riguarda i comportamenti e le tendenze che prendono vita attraverso i singoli individui.
A prima vista, l’omologazione culturale può sembrare un fenomeno del passato: attraverso le guerre di conquista, i vincitori imponevano con la forza la propria cultura e i propri culti al popolo sconfitto.
In questo modo, la storia di intere civiltà è irrimediabilmente andata perduta, come nel caso degli Etruschi o dei Maya.
Altre culture, invece, sono state assorbite e riprese proprio dai conquistatori: la Grecia in questo campo fa scuola.
Tuttavia, questo fenomeno non può ancora considerarsi concluso in quanto torna a manifestarsi, seppur in forma ridotta, come conseguenza della globalizzazione mondiale, la quale rende estremamente più semplice venire a contatto con le usanze di un paese senza averlo necessariamente visitato.
Ad uscire con le ossa rotte dall’incontro con questa "superinformazione" di massa sono principalmente l’artigianato e la cucina locale, i quali vedono i propri prodotti, spesso unici al mondo, copiati e smerciati in tutto il globo ad un prezzo irrisorio.
Ci siete ancora? Nervi saldi, comincia la parte interessante.
A questo punto è necessario introdurre il secondo grado di omologazione, quella sociale.
Come già anticipato in precedenza, essa racchiude comportamenti, usi, abitudini, cliché degli individui all’interno della società.
Sorge spontanea una domanda:
ma che cos’è, o meglio, chi è il deus ex machina che regola e permette tutto ciò?
La risposta è racchiusa in un’unica, piccola parola: moda.
Ci sono infinite mode ricorrenti che variano a seconda del paese e del contesto storico: c’è la moda di andare a ballare il sabato sera, fare i risvoltini ai pantaloni, fumare, di pubblicare foto su Snapchat, farsi piercings e tatuaggi, c’era la moda del cappello a cilindro, di farsi i dreadlocks ai capelli…
Oggigiorno, il concetto di “moda” è legato ad un forte materialismo, all’aspetto esteriore, all’apparire piuttosto che all’essere.
Tuttavia, le mode non rappresentano solamente caratteristiche esteriori, bensì anche aspetti interiori, pensieri, idee.
Basti pensare a questo piccolo stereotipo: le prime vicende alle quali la Germania è spesso associata inconsciamente sono quelle riguardanti gli infelici avvenimenti datati 1939-1945.
Eppure, la stessa nazione ha dato i natali ai maggiori filosofi e letterati di tutti i tempi.
Non è forse questa una piccola “moda” di pensiero?
Passiamo ora all’ultimo punto di questo articolo.
Come nascono le mode?
Le producono in fabbrica?
Le trovi sotto l’albero di Natale?
Le portano le cicogne?
Molto più semplicemente, esse sono involontariamente (o no?) create dai media e dalle pubblicità, i quali, attraverso una sottilissima guerra psicologica, indirizzano la popolazione verso certi “modelli” da seguire, che spesso limitano la nostra libertà e il nostro essere.
Non bisogna mai, pertanto, smettere di pensare, ragionare, interrogarsi sulle vicende del mondo che ci circonda.
Ciò non significa dubitare di tutto, bensì semplicemente fermarsi a riflettere se vale la pena perdere la propria identità per essere accettati dagli altri diventando così uno dei tanti uomini artificiali, tutti fatti con lo stampo, con gli stessi vestiti, gli stessi comportamenti, gli stessi pensieri di centinaia di altri, oppure usare il proprio senso critico, la ragione e non aver paura di essere semplicemente se stessi.
“Perché c’è ancora qualcuno che ti apprezza per come sei e non per come devi essere” (Johnny Depp)
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